Cristo è morto in quel modo atroce per riscattare i peccati del mondo, tutti i peccati di tutti gli uomini, da Adamo all’ultima generazione che verrà travolta dall’Apocalisse. San Josemaría Escrivá, nel commentare il secondo mistero doloroso nel quale si contempla la flagellazione di Gesù, conclude: «Guardalo, guardalo a lungo… E poi… avrai ancora paura dell’espiazione?» (Il santo Rosario).
Il film di Mel Gibson è una grande occasione di catechesi e di preghiera. Mettendoci di fronte a quel sangue, a quelle spine, a quei chiodi, spinge alla presa di coscienza, al pentimento, alla conversione, alla riparazione: «Bambino sciocco, guarda: tutto questo… ha sofferto tutto questo per te… e per me. – Non piangi?» (Ibidem, «Quinto mistero doloroso»).
Certo, un film è sempre una rappresentazione, non è il Vangelo: ma il film di Gibson è fedele alla lettera e allo spirito del Vangelo. Il giudizio estetico è lecitamente opinabile, ma va dato atto al regista dell’impegno, dello scrupolo filologico, della nobile intenzione apologetica che ha profuso nel riproporre lo scandalo della Passione.
Le polemiche hanno accompagnato il film già durante la lavorazione, e gli si è affibbiata l’infamante accusa di «antisemitismo».
Sulle responsabilità nella condanna di Gesù la Chiesa si è pronunciata nettamente e definitivamente nella dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II: «Se le autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo (cfr Gv 19,6), tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo. E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati né come rigettati da Dio, né come maledetti […]. Gli Ebrei, in gran parte, non hanno accettato il Vangelo, ed anzi non pochi si sono opposti alla sua diffusione. Tuttavia, secondo l’Apostolo (cfr Rm 11, 28-29), gli Ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui chiamata sono senza pentimento» (n. 4).
Del resto, già san Pietro, nel suo secondo discorso riportato dagli Atti (3, 13-19) trovava delle attenuanti: «Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, così come i vostri capi; Dio però ha adempiuto così ciò che aveva annunziato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo sarebbe morto. Pentitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati».
Nel film di Gibson non c’è assolutamente nulla in contrasto con la Scrittura e con la luminosa dottrina della Chiesa. Chi lancia inopinate accuse di «antisemitismo» dovrebbe rispondere a queste domande:
1. «Caifa ha fatto bene o male a chiedere la condanna di Gesù che si qualificava come Messia?»
2. «Se tu fossi stato al suo posto, avresti condannato o assolto quel Gesù storico che affermava di essere il Cristo?»
La Chiesa cattolica ha dato risposte da duemila anni: Cristo, l’innocente, è stato condannato perché è il Messia. Il punto è questo e solo questo. E dunque, cari filosemiti, lasciate ai cristiani, e innanzitutto ai cattolici, la libertà di credere e di proclamare che Gesù Cristo, il Gesù storico che anche Mel Gibson a suo modo presenta, è veramente il Messia, colui che ha preso su di sé il peccato del mondo, per redimere il mondo. E, come san Pietro ha dichiarato ai capi del popolo e agli anziani che l’avevano incarcerato con Giovanni per aver guarito lo storpio, «questo Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4, 11-12).
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